Dante racconta una commedia divina

Era una notte di primavera, nell’anno 1300, quando tutto cominciò.

Da poco avevo raggiunto la mezza età, che al tempo in cui sono vissuto, era intorno ai 35 anni, ma non ero sereno. C’erano lotte e guerre, malattie,le persone sbagliavano e anch’io avevo perso la dritta via della giustizia, della pace, della concordia…stavo sbagliando e non vedevo vie d’uscita.

Decisi di compiere un viaggio attraverso i tre regni dell’Aldilà: l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. Ma non fui solo! Con me, nell’Inferno e nel Purgatorio, viaggiava un antico poeta latino, che avevo studiato per poter scrivere bene: il mio maestro Virgilio. In Paradiso mi accompagnava la bellissima Beatrice, una giovane donna che incontrai a Firenze. Il suo sguardo mi colpì così tanto che decisi di dedicarle tutte le mie più belle poesie.

Così facendo, mi ritrovai in un bosco buio, una selva oscura e qui mi apparvero tre belve: una lonza agile ed elegante, dal pelo maculato, simile a una lince o a un leopardo; un leone imponente e rabbioso e una lupa, magra, vorace ed irrequieta.

Subito mi spaventai, sembrava che volessero attaccarmi, ma non mi fecero niente…allora capii che rappresentavano tutti quei gravi sbagli che ciascuno di noi potrebbe commettere nella sua vita: l’inganno e tutti gli imbrogli, il non sapersi controllare, il desiderare troppo e subito, l’avarizia, la superbia, l’ira, fino ad arrivare alla violenza e a ogni forma di malvagità.

Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura,

ché la diritta via era smarrita.

Dovete sapere, cari Amici, che l’Inferno è come una profonda voragine, un’immensa buca nel terreno a forma di cono: la base si trova sotto la crosta terrestre, esattamente sotto la città di Gerusalemme e la punta, il vertice in basso, si trova al centro della terra.

Usciti dalla selva, io e Virgilio giungemmo di fronte alla porta dell’Inferno e sopra questa, una pietra con scritte parole che mi fecero tanta paura, come quelle di lasciare ogni speranza di uscirne vivi e di salvarci.

“PER ME SI VA NELLA CITTÀ DOLENTE,

PER ME SI VA NE L’ETTERNO DOLORE,

PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE. (…)

LASCIATE OGNE SPERANZA, VOI CH’INTRATE.”

Appena varcammo la porta, trovammo il fiume Acheronte, il fiume dell’Inferno dalle acque scure e qui, sulla riva, ci apparve CARONTE che, sulla sua barca, traghettava le anime dannate verso l’altra sponda.

Caronte mi guardava con occhi rossi d’ira come la brace e non voleva farmi salire perché ero ancora vivo, ma il mio maestro Virgilio gli disse di non crucciarsi, di non arrabbiarsi perché questo mio viaggio era voluto dal Cielo.

Caron dimonio, con occhi di bragia

Loro accennando, tutte le raccoglie

Batte col remo qualunque s’adagia. (…)

Caron, non ti crucciare.

L’ immenso cono infernale era diviso in 9 cerchi: in ognuno di questi, i peccatori e tutti coloro che avevano gravemente sbagliato pagavano per le loro colpe.

Nel primo cerchio, detto Limbo, non si trovavano veramente dei peccatori; non era colpa loro se non avevano conosciuto Gesù Cristo ed erano nati negli anni prima della sua venuta. Fra questi c’era proprio il mio maestro Virgilio: ecco perché lui mi lasciò al termine della montagna del Purgatorio e non salì con me nei cieli del Paradiso.

Scendendo al secondo cerchio, ci apparve MINOSSE, il demonio che, con tono rabbioso e minaccioso, giudicava le anime. Loro passavano davanti a lui e, tremando, gli confessavano i loro peccati. Egli non parlava, ma indicava con la sua lunga coda il cerchio nel quale avrebbero dovuto scontare le loro colpe. In questo cerchio vidi che le anime venivano spinte da un forte vento che mai si fermava e si muovevano nell’aria come foglie secche.

Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:

essamina le colpe ne l’intrata;

giudica e manda secondo ch’avvinghia.

_____________________________________________________________

Nel terzo cerchio le anime dei golosi erano sempre battute dalla pioggia e dalla grandine, ma non solo!!! Si trovavano immersi nel fango puzzolente. Erano sorvegliate da CERBERO, demonio con tre teste di cane, con occhi rossi, la barba unta, sudicia e nera, di ventre largo e con zampe dalle unghie affilate, che latra per spaventare i peccatori e qualche volta li colpisce.

Cerbero, fiera crudele e diversa,

con tre gole caninamente latra

sovra la gente che quivi è sommersa.

_____________________________________________________________

Nel quarto cerchio, i peccatori spingevano avanti col petto delle pietre pesanti, dei pesanti macigni perché alcuni di loro erano spendaccioni e sperperavano con facilità le loro ricchezze, mentre gli avari, invece, erano troppo attaccati al loro denaro e continuavano ad accumulare soldi senza spenderne nemmeno per se stessi. Qui a far da guardia c’era un altro demonio, PLUTO, e recitava parole per me incomprensibili: “Pape Satàn, pape Satàn aleppe!

Nel quinto cerchio, formato dalla fangosa palude Stigia, erano immersi i vendicativi, incapaci di perdonare e sempre pronti a vendicare i torti e le offese ricevute.

Nel sesto cerchio ci apparve una città di fuoco, la città di Dite, formata da tombe scoperchiate dove giacevano migliaia di peccatori che non avevano creduto all’immortalità dell’anima.

Quando io e Virgilio scendemmo al settimo cerchio, fummo costretti a passare per un canalone sorvegliato da un mostro col corpo di uomo e la testa di toro: il MINOTAURO.

(…) vid’io lo Minotauro far cotale;

e quello accorto gridò: “Corri al varco;

mentre ch’è ‘n furia è buon che tu ti cale”.

Calandoci nel settimo cerchio ci accorgemmo che era diviso in tre gironi: nel primo scorreva il fiume Flegetonte, un rosso fiume bollente, dov’erano immersi coloro che erano stati violenti verso il prossimo (i tiranni, gli omicidi, i briganti e i ladroni). Lungo questo fiume galoppavano i CENTAURI, mostri metà uomini e metà cavalli che, con archi e frecce, colpivano questi dannati mentre tentavano di uscire dal fiume.

Sulla groppa del centauro NESSO, io e Virgilio fummo trasportati nel secondo girone e, anche qui, ci trovammo in un bosco, in una selva paurosa, dagli alberi con i tronchi e i rami contorti, sui quali facevano il nido le arpie, animali mezzo uccelli e mezzo donne.

Udii dei lamenti, ma non seppi da dove venivano. Virgilio mi incoraggiò a spezzare un rametto ma, appena l’avevo fatto, vidi uscire gocce di sangue dal ramo, come quando hai un taglietto o ti sbucci il ginocchio quando cadi per terra. Sentii una voce che mi diceva: “Perché mi spezzi?”

Nella pianta c’era l’anima di PIER DELLE VIGNE, un uomo molto importante, consigliere dell’imperatore Federico che, dopo aver ricevuto accuse ingiuste, non seppe difendersi per la vergogna e decise di lasciare questo mondo.

_____________________________________________________________

Il terzo girone era una campagna desolata, spoglia, dove piovevano di continuo fiamme e scintille che tormentavano i bestemmiatori e coloro che dicevano parolacce. Qui trovai un mio vecchio amico, BRUNETTO LATINI che mi disse queste parole:

“Sarai cacciato dalla tua città, Firenze, perché sei troppo onesto, ma un giorno i fiorentini se ne pentiranno e vorranno riaverti. Tu, però, non tornerai più nella tua città”. E così fu: con molto dolore e tristezza, che provo ancora adesso, non tornai più dai miei cari e non rividi più la mia amata Firenze.

Scendendo sempre più in basso, io e Virgilio entrammo nell’ottavo cerchio, l’unico chiamato con il nome di MALEBOLGE. Le bolge erano 10 fossati intorno a questo cerchio, circondati da mura e scavalcati da ponti di roccia, come negli antichi castelli. Qui, tra coloro che erano puniti, si trovavano i ladri, i bugiardi e gli imbroglioni,

Mi accorsi anche di un gruppo di 12 diavoli, le MALEBRANCHE, pronti a far la guarda a questi briganti, immersi nei fossi pieni di pece, una sostanza appiccicosa, bollente e puzzolente, pronti a graffiarli e a colpirli con i loro artigli (branche) se osavano uscire. Il loro capo era MALACODA e il sergente di questa truppa si chiamava BARBARICCIA, che ci accompagnò in questo brutto posto.

Erano diavoli malvagi, beffardi e volgari, pronti a prendere in giro chiunque con disprezzo e, quando Barbariccia li metteva schierati come soldati, il suo ordine veniva dato con una parolaccia: “et elli avea del cul fatto trombetta.”

Così partivano rumori assordanti e quelle che voi chiamate “puzzette”.

A regnare nell’ultimo cerchio dell’Inferno, c’era LUCIFERO, orribile che con il suo corpo stritolava Giuda Iscariota, colui che con un bacio tradì Gesù.

Con le sue ali di pipistrello, Lucifero ghiacciò il lago Cocito dov’erano immersi i traditori.

Attraversata una lunga e buia caverna, io e Virgilio risalimmo sulla Terra dalla parte opposta e, nella pace e nella tranquillità, uscimmo a riveder le stelle.

Torna alla pagina precedente